IL PROGETTO:
madeincolours viene ufficialmente fondata nel maggio 2014 con lo scopo di far comprendere al consumatore le profonde differenze, soprattutto in termini di sicurezza per la salute e tutela dell’ambiente, tra un prodotto fatto in Italia/Europa ed uno importato da fuori (paesi extra-UE) e dare il giusto valore all’industria manifatturiera italiana/europea. Pelle e cuoio, tessuti, legno, carta sono infatti solo alcuni dei principali substrati che coloriamo e che poi attraverso una lunga catena produttiva arrivano sugli scaffali, ai consumatori finali, sotto forma di accessori, abbigliamento, arredamento, imballi, prodotti di carta e di cartone. Il vero Made in Italy/Made in Europe parte proprio da qui, dalla colorazione di quegli elementi di base che costituiranno poi il prodotto finito. Purtroppo oggi il consumatore finale che compra l’articolo in negozio non conosce nulla della concerie, tintorie, stamperie, cartiere che contribuiscono in modo essenziale a garantire la loro sicurezza e l’ambiente in cui viviamo attenendosi a rigorosi regolamenti europei (Regolamento REACH) e continua a comprare prodotti provenienti da Paesi extra europei dove i controlli sono decisamente insufficienti e l’utilizzo di sostanze pericolose per la salute di uomo e ambiente ancora fortemente in uso.
IL REACH E GLI EFFETTI DELLA DELOCALIZZAZIONE:
Il regolamento REACH è una normativa europea severissima e costosissima che obbliga l’industria italiana ed europea ad andare a fondo in tutte le sostanze chimiche usate all’interno della UE: analizzare, classificare e definire come e dove può essere usata. Il costo medio di registrazione di ogni sostanza, connesso soprattutto agli studi tossicologici ed eco-tossicologici imposti dalla normativa ed al complesso lavoro tecnico, si può stimare in € 50.000 per sostanza. Un distributore di coloranti ha in gamma mediamente 300 sostanze e dovrebbe spendere circa 15 milioni di euro per ottemperare al Regolamento REACH. Questo, se da una parte garantisce sicuramente la salute dei consumatori e del nostro ambiente, dall’altra penalizza la nostra industria caricandola di costi elevatissimi e spingendo di fatto i brand a delocalizzare, a fare fuori dall’Europa, dove i controlli sono pressoché inesistenti e quindi i costi inferiori.
L’ETICHETTA “MADE IN”:
Il consumatore deve quindi essere messo nelle condizioni di comprendere queste differenze e fare scelte consapevoli quando va in negozio a comprare un prodotto. Si potrebbe obiettare che basta comprare ciò che è etichettato “made in”! Ma l’attuale “made in”, per altro non ancora obbligatorio per legge, ci dice che basta che siano stati “confezionati” nel nostro territorio per poter etichettare Made in Italy/Made in UE. Basta dunque acquistare del pellame conciato e rifinito chissà dove e chissà come, tagliarlo e assemblare una calzatura qui, per vendere quella certa scarpa come Made in Italy. Basta acquistare un tessuto o un filato tinto fuori Europa, attaccare i bottoni e la zip per guadagnarsi l’etichetta Made in Italy/Made in UE. In verità la fase più delicata del processo produttivo è proprio quella in cui vengono usate sostanze chimiche ed è quella che andrebbe controllata e tracciata in modo serio. Purtroppo ad oggi questo avviene solo all’interno dell’Unione Europea.
L’OBIETTIVO:
Il vero problema oggi è che il consumatore non ha la possibilità di capire dove sono stati immessi i prodotti chimici, dove è stato colorato quel certo articolo. madeincolours vorrebbe dunque arrivare a tracciare, in modo trasparente, la filiera produttiva, inducendo chi immette di fatto quell’articolo sul mercato ad apporre etichette informative con codice QR sull’articolo finito, che contraddistingua i prodotti colorati all’interno dell’Unione Europea. In sintesi l’etichetta seguirà il percorso del substrato colorato arrivando fino al consumatore che potrà finalmente riconoscere la filiera, leggere la storia del prodotto e d il contributo di tutti. Il marchio e la certificazione madeincolours significherà “colorato all’interno dell’Unione Europea nel rispetto delle normative vigenti” (Regolamento REACH), non potrà né vorrà essere una certificazione tout court dell’articolo ma trasferirà al consumatore che quella certa filiera produttiva sta lavorando in modo virtuoso, minimizzando i rischi e ottimizzando qualità e sicurezza.